casa-luigi-pirandelloGirgenti (Agrigento) è la città di Luigi Pirandello, il luogo in cui è nato, cresciuto, e dove ha avuto la sua prima formazione. E’ anche  “la città “teatro” dei suoi personaggi  e delle vicende pirandelliane. Una condizione, “l’agrigentitudine”, da cui non si è mai staccato e da cui ha avuto sempre ispirazione. L’itinerario comincia al Caos, il luogo in cui nacque, il 28 giugno 1867: “…una notte di giugno caddi come una lucciola sotto un gran pino solitario in una campagna d’ulivi saraceni affacciata agli orli d’un altopiano d’argille azzurre sul mare africano. Si sa le lucciole come sono…Qualcuna ogni tanto cade…Così io vi caddi quella notte di giugno…” (da Informazioni sul mio involontario soggiorno sulla terra). Ecco come descrive il luogo natio, quasi come se fosse un quadro: poche pennellate per rendere le sensazioni che promanano ancora oggi, tra colori e natura, con tutte le emozioni fissate dall’autore, ancora intatte.
 
Siamo al Caos, poco lontano da Porto Empedocle, che allora era il Caricatore di Girgenti, la Marina, utile approdo per il commercio dello zolfo, cui la famiglia Pirandello, proprietaria della miniera, era legata. A Porto Empedocle, oltre al porto è possibile visitare  la via Roma, lungo la quale si può osservare su un alto piedistallo una statua dedicata allo scrittore. Bisogna arrivare ad Agrigento per scoprire i luoghi e quasi vedere i personaggi che hanno ispirato le opere pirandelliane da I Vecchi e i Giovani, L’Esclusa, La Giara, Il Vitalizio, Il Turno, Pensaci Giacomino, Il Fu Mattia Pascal, Uno, Nessuno, Centomila, e molte altre.

Ne “I vecchi e i giovani”  Girgenti appare povera e desolata “silenziosa e attonita superstite nel vuoto d’un tempo senza vicende, costellata di vecchie casupole, vere tane di miseria (…) Vi si saliva per angusti vicoli sdruccioli, a scalini, malamente acciottolati, sudici spesso, intanfati dai cattivi odori misti esalanti dalle botteghe buje come antri…” . Nello stesso romanzo si attraversa Porta di Ponte, l’ingresso per la via principale della città, la Via Atenea, detta impropriamente la “piazza”, perché luogo di ritrovo. “Non passava giorno che non si vedessero per via in processione funebre le orfanelle grigie del Boccone del povero: squallide, curve, tutte occhi nei visini appassiti, col velo in capo, la medaglia sul petto e un cero in mano. Tutti, per poca mancia potevano averne l’accompagnamento…”. Sulla parallela corre la via Pirandello, un tempo via San Francesco, dove si trova la casa di città della famiglia dello scrittore. La descrizione della via principale prosegue fino a piazza Gallo, dov’era una volta il Tribunale e ove spicca l’ architettura dell’anticipo Municipio, oggi sede della Camera di Commercio. Si prosegue l’itinerario fino al Teatro Pirandello, prima Regina Margherita, che è ubicato nell’omonima piazza. Si torna indietro per inerpicarsi per la via Bac Bac (o Matteotti) e la piazza Lena. “Presero per l’erta via di Lena dove pareva fosse un tumulto attorno a qualcuno che cantava. Niente! Erano i pescivendoli che, arrivati or ora dalla marina, scavalcati dalle mule cariche, gridavano tra la folla il pesce fresco, con lunga e gaia cantilena. I tre proseguirono per la salita sempre più erta di Bac Bac, finché non giunsero presso la porta più alta della città, a settentrione, il cui nome, arabo anch’esso, Bab-er-rjiach (Porta dei Venti), era divenuto Bibirria”. Altri luoghi descritti sono la zona della Cattedrale di San Gerlando, il Vescovado, e la Biblioteca Lucchesiana: “…Vidi nella penombra fresca che teneva l’ampio stanzone rettangolare presso un tavolo polveroso, cinque preti della vicina Cattedrale e tre carabinieri dell’attigua caserma in maniche di camicie, tutti intenti a divorare una insalata di cocomeri e pomidori. Restai ammirato. I commensali stupiti levarono gli occhi dal piatto e me li confissero addosso. Evidentemente io ero per loro una bestia rara e insieme molesta. Mi appressai  rispettosamente (perché no) e domandai del bibliotecario. “Sono io”, mi rispose uno degli otto, con voce afflitta dal boccone non bene inghiottito.

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“Io vengo a chiederle il permesso di cedere se in questa… (non dissi taverna ma biblioteca) sono dei manoscritti…”

“Là giù, là giù, in quello scaffale in fondo”, m’interruppe la stessa voce impolpata di un nuovo boccone, e gli otto bibliotecari si rimisero a mangiare…”Ampie descrizioni nell’opera pirandelliana sono anche della Chiesa dell’Itria, seppur diversamente denominata (Santa Maria Liberale) e tutto il quartiere di Santo Spirito, che gravita attorno al Monastero.  Così si fa ritorno alla via Atenea e, passando Porta di Ponte, agevolmente si giunge alla piazza della Stazione e quindi alla “Passeggiata Cavour”, da cui si affacciava Don Ippolito Laurentano, oggi Viale della Vittoria. Dal lato sud si domina la vallata, oltre la Collina dei Templi, fino al mare. “Dov’ era il cuore dell’ antica città sorgeva ora un bosco di mandorli e d’olivi, il bosco detto perciò ancora della Civita…Oltre il bosco, sul lungo ciglione sorgevano i famosi Tempii superstiti, che parevano collocati apposta a distanza…” Ed ancora: “Guardò i Tempii che si raccoglievano solenni e austeri nell’ombra, e sentì una pena indefinita per quei superstiti di un altro mondo e di un’ altra vita. Tra tanti insigni monumenti della città scomparsa ad essi era toccata in sorte di veder quegli anni lontani: vivi essi soli già tra la rovina spaventevole della città; morti ora essi soli in mezzo a tanta vita d’ alberi palpitanti, nel silenzio, di foglie e di ali. Dal prossimo poggio di Tamburello pareva che movesse al tempio di Hera Lacinia, sospeso lassù, quasi a precipizio sul burrone dell’Akragas, una lunga e folta teoria d’ antichi e chiomati olivi; e uno era là, innanzi a tutti curvo sul tronco ginocchiuto, come sopraffatto dalla maestà imminente delle sacre colonne; e forse pregava pace per quei clivi abbandonati, pace per quei Tempii, spettri d’un altro mondo e di ben altra vita.” Tra il tempio d’Ercole e quello di Giove Olimpo vi era la Porta Aurea dell’antica città greca, la via percorsa dal capitano Sciaralla, per giungere in “un altro feudo, a circa quattro miglia da Colimbetra. (…) nel punto più basso del pianoro, dove tre vallette si uniscono e le rocce si dividono e le linee dell’aspro ciglione, su cui sorgono i Tempii, è interrotta da una larga apertura. In quel luogo, ora detto dell’Abbadia Grassa, gli akragantini, cent’anni dopo la fondazione della loro città, avevano formato la pescheria, gran bacino d’acqua che si estendeva fino all’Hypsas e la cui diga concorreva col fiume alla fortificazione della città”.   Molto è ancora da scoprire, tra scale, cortili, nei volti della gente, sfogliando Agrigento come un libro per ritrovare l’anima dell’opera del grande drammaturgo Luigi Pirandello.

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Agrigento

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