Al momento stai visualizzando I ”primi” 20 anni della Kolymbethra

Ci sono solo tre persone che sanno tutto della Kolymbetra, la mitica piscina di Akragas, nel cuore della Valle dei templi. Uno è Diodoro Siculo, l’altro è Tommaso Fazello e il terzo è Giuseppe Lo Pilato. E se ai primi due, storici vissuti rispettivamente nel I secolo avanti Cristo e nel XV secolo, non è più possibile chiedere nulla, a Giuseppe Lo Pilato, direttore del sito gestito dal Fai, il Fondo per l’Ambiente italiano, si può chiedere il racconto di una epopea che in questi giorni compie venti anni. 

Perché è lui che, da agronomo, nel 1999, ebbe la “folle” idea di proporre al Fai di adottare questo lembo abbandonato della Valle dei Templi ridotto a una discarica coperta dai rovi. Ed è lui che dal 2001 è il direttore del sito per conto del Fondo. La data chiave è il 9 novembre del 2001 quando la Kolymbetra viene finalmente aperta al pubblico, due anni dopo la convenzione firmata nel 1999 tra la Regione e il Fai al quale il sito fu affidato per 25 anni. 

Ma cos’è la Kolymbetra? Diodoro Siculo racconta che a costruire questa enorme vasca furono gli schiavi cartaginesi catturati dopo la battaglia di Himera del 480 avanti Cristo quando i greci di Sicilia sbaragliarono l’esercito cartaginese imponendo il loro dominio e la loro civiltà anche sulla Sicilia. Per alimentarla, il tiranno dell’epoca, Terone, fece costruire persino una rete di gallerie drenanti, i cosiddetti Ipogei che raccoglievano le acque piovane della collina dove oggi sorge la città moderna convogliandole nella grande vasca. Poi nei secoli fu abbandonata diventando una conca inaccessibile per via dei rovi.

La svolta nel 1998 quando Giulia Maria Mazzoni Crespi, la fondatrice del Fai se ne «innamorò» su «segnalazione» appunto di Giuseppe Lo Pilato. Il progetto di recupero fu firmato dal prof. Giuseppe Barbera e dalla soprintendente di Agrigento Graziella Fiorentini. «Avevo scoperto questo luogo – racconta Giuseppe Lo Pilato – alcuni anni prima. Era curato da un contadino locale, il signor Antonino Vella che mi condusse lì. Quando ci tornai negli anni Novanta trovai tutto in abbandono. » In due anni il Fondo riuscì ad averla in concessione dalla Regione che allora era guidata dall’agrigentino Angelo Capodicasa.

Un sito di immenso interesse che il Fai ha restaurato – con propri fondi – e che è tornato ad essere aperto al pubblico: «Nel 2002 c’erano 7 mila visitatori. Nel 2019 70 mila». 

«L’area agricola – spiega Lo Pilato – nasce in epoca medioevale come testimonia Tommaso Fazello. Probabilmente era di proprietà del Monastero di Santo Spirito. Nella prima metà  del ‘700 si sviluppa la coltivazione degli agrumi e quindi da orto diventa giardino. E c’erano gli agrumi dell’epoca, come ad esempio la prima varietà di arancia dolce mai coltivata in Europa, il cosidetto portual perché importato dai portoghesi dall’Estremo Oriente. Su 650 piante 84 sono di arancio Portogallo. C’è  anche il “brasiliano” da cui poi si è sviluppato per mutazione naturale il Washington Navel senza semi ed è quello più coltivato nel pianeta come agrume».

Ma qui non è solo una questione di coltivazione di questa o quella varietà. E’ anche una questione scientifica: «Ogni varietà ha il suo patrimonio genetico e questo è il motivo per cui nel 2019 – ha raccontato il direttore della Kolymbetra – abbiamo iniziato a creare aree dedicate nell’Orto Botanico di Palermo con gli innesti di queste varietà molto rare che rischiavano di scomparire». 

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