La Fontana della Rimascita

Sul versante sud del monte S. Paolino, un po’ più giù dell’antichissima Sutera e a soli tre chilometri dal bivio che diparte dallo scorrimento veloce Palermo-Agrigento, su un poggio arieggiato e ameno, sorge Campofranco, ridente comune collinare nella Valle dei Platani, in provincia di Caltanissetta, dalla quale dista 75 chilometri circa.

Circondata dal verde, in un territorio ricco di acque e di giacimenti minerari, Campofranco da quattro secoli celebra le sue feste più importanti: la Pasqua, rappresentata teatralmente, e il festino di S. Calogero “ricco”, patrono della città.

Santuario Diocesano di San Calogero e Chiesa di San Francesco di Assisi

Il suo territorio confina con Sutera, Milena, Casteltermini, Grotte e Aragona. A circa tre chilometri dal paese, in contrada Auricella, una vecchia trazzera conduce direttamente, con un percorso accidentato ma in una zona panoramica e suggestiva, al Gallo d’Oro, un torrente che sgorga da varie sorgenti delle alture di Mussomeli e Montedoro, riceve le acque del torrente Salito e va a gettarsi nel fiume Platani. Quasi al termine della trazzera, a valle, in un punto in cui le due rive si restringono, oggi si possono osservare i due tronconi di un grande ponte, il cosiddetto “ponte romano”, crollato alla fine del Luglio 1980. Il ponte era parte dell’itinerario di Antonino Augusto, importante nodo stradale dell’epoca romana, che portava ad Agrigento.

Nelle vicinanze vi era una statio, la Comiciana, cioè una stazione di passaggio (una sorta di odierno motel) con case, magazzini e stalle, dei quali sono state ritrovate delle tracce. Sicuramente più volte danneggiato e ricostruito, dopo l’ultimo crollo nel 1732 causato da un’alluvione, la Deputazione del Regno di Sicilia aveva dato l’incarico di costruirne uno nuovo: furono utilizzati grossi conci romani per le arcate laterali e fu modificata la campata centrale per renderlo carrabile. Nel 1815 Antonino Lucchesi Palli, principe di Campofranco, lo aveva fatto restaurare. Altri interventi trovarono luogo nel 1931 e nel 1940. Nel 1977 sono comparsi lesioni e squarci tra i massi della parte centrale dell’arco, infatti da lì a poco crollò.

Le zone collinari del territorio di Campofranco si prestano all’allevamento di mandrie e greggi, mentre la parte pianeggiante e in lieve pendio offre condizioni favorevoli alla coltivazione dei cereali, della vite, dell’ulivo e degli alberi da frutto. Il comprensorio è ricco di giacimenti minerali e di sorgenti fresche; limpide acque, spesso amare, sgorgano nelle campagne (la Iuntana di li rosi”, la Iavara”…). Vi fioriscono piccole aziende agricole, giardini di agrumeti, frutteti e vigneti.

Scomparsi i grandi colossi industriali degli anni Sessanta, fra i quali lo stabilimento di sali potassici della Montecatini; (poi ltalkali), forse uno dei più grandi d’Europa, e chiusa la miniera di Cozi Disi, la vocazione di Campofranco sembra possa essere oggi quella turistica.

Festa di San Calogero

La storia

Fondato nel 1573 dal barone Giovanni Del Campo su licenza regia, Campofranco diviene in breve tempo un fiorente borgo, passato poi ai Lucchesi Palli che lo elevarono a principato.
La storia di Campofranco comincia nei 1549, quando la famiglia Dei Campo perde la baronia di Mussomeli per una serie di disavventure legate al nome di Cesare Lanza.

Al barone Dei Campo rimase il possesso solo di quattro feudi: Lo Zubbio, Castelmauro, San Biagio e Fontana di Rose.
I Dei Campo si ritirarono allora a vita privata, sino a quando Giovanni, il più giovane della famiglia, non decise di risollevare le sorti della casata, popolando uno dei suoi feudi.

Il 10 Febbraio 1573, Filippo Il di Spagna, figlio di Carlo V, sotto la cui dominazione ricadeva la Sicilia, invia lettere regali con la licenza di edificare un casale e chiamarlo Campofranco.

Per la verità, un piccolo casale esisteva già nel feudo Fontana di Rose, dove erano solite capanne e case di pastori e contadini, magazzini per la conservazione dei cereali, un locale per la secrezia: tutto il complesso era difeso da una torre, con soprastanti e campieri (custodi dei campi).

Dopo alcuni mesi, a settembre, il barone stipulava <<A capitoli della baronia>> con alcuni cittadini di Sutera, fissando le condizioni per un buon rapporto di convivenza fra signori e vassalli.

Vi venivano concordate gabelle, franchigie, agevolazioni, censi, privilegi, diritti e doveri.

Il Ponte Romano

La vita del paese cominciò a svolgersi, dunque, simile a quella di tanti altri comuni. Presto, attratti da regalie e privilegi, accorsero dalle terre vicine contadini e artigiani, e il nuovo minuscolo borgo andò ampliandosi con beverature, chiese, forni, mulino e altre infrastrutture essenziali per la crescita del comune.

Il Governatore don Giovanni Lo Burgio, per rendere più accogliente il nuovo borgo, spianò il terreno davanti al castello , destinandolo a piazza grande, mentre di fronte, in leggero pendio, sorgeva la Chiesa Madre, dedicata a San Giovanni Evangelista (Giovanni era il nome del feudatario). Come a cingere la vasta piazza a corona, si tracciarono le prime vie, strette e tortuose, con cortili ariosi e ampi, dove carrettieri, artigiani, soprastanti, cittadini andavano costruendo le case, solitamente a un piano, una struttura architettonica che condizionò le costruzioni dei paese negli anni a venire.

Nella piazza, poi detta della Matrice, furono subito date le licenze (di pertinenza del barone) per aprire il macello (o bocceria), il fondaco, il forno, le botteghe, mentre l’acqua zampillava e riempiva le vasche della beveratura, che serviva uomini e animali.

Le prime strade furono via dell’Itria, via della Matrice, via delle Fosse, via delle Pile (dove erano stati costruiti un abbeveratoio e un lavatoio), via dell’Ebreo, via dei Sarto, etc. Via dei Mercato (poi via Lunga e infine via Umberto) era ancora fino a poco tempo fa il corso principale, che iniziava dalla piazza e quasi in un unico tratto, angusto e sinuoso, raggiungeva la chiesa e il convento di San Francesco. Qui si sviluppò un altro quartiere, con la Via Lume (per la presenza di una chiesetta dedicata alla Madonna dei Lume) che conduceva a una trazzera che saliva a Sutera.


L’amenità del luogo e la bellezza dei paesaggio contribuirono al progressivo espandersi della popolazione: nel 1583 il primo censimento della popolazione registrava 117 fuochi cioè famiglie, e 462 anime; poco più di dieci anni dopo, nel 1595, erano salite a 910.

I Dei Campo ressero il paese sino al 1622, con le solite liti familiari, quando l’ultima baronessina, donna Eleonora, sposò giovanissima don Fabrizio Lucchesi Palli, della famiglia di Sciacca e Naro, che nel 1625 ottenne da Filippo IV il titolo di principe di Campofranco.

I Lucchesi discendevano da un nobile rampollo toscano, Andrea, barone dei castello di Trepalli, nei pressi di Lucca, che venne in Sicilia al seguito di Ruggero il Normanno. Dopo la conquista normanna raccolse onori e favori a Sciacca, Naro e Palermo.

I Lucchesi divennero tra i più ricchi baroni di Sicilia e la loro potenza si accrebbe ancora nel ‘700 e nell’800, culminando con il potere civile, religioso e culturale di Antonio, che promosse l’Accademia della Galante Conversazione (1760); grazie ad Andrea, che divenne vescovo di Girgenti (1755), venne istituita la Biblioteca Lucchesiana; Giuseppe, invece, si coprì di gloria sui campi di battaglia (1756); e un altro Antonio, uno dei protagonisti della vita politica del Regno delle Due Sicilie, che fu per due volte Luogotenente del Regno.


La numerosa discendenza dei principi Lucchesi, tuttavia, non portò miglioramenti determinanti alla crescita del paese, ricordato nei documenti per le scarse contribuzioni e i legati destinati dai feudatari per le chiese, gli altari, le feste e per i poveri.

Nel corso dei secoli, il feudalesimo, con le sue angherie e soprusi, produsse qualche caso di rivolta, stroncato con la forca, il cui emblema si ergeva alle porte dei paese; vi furono carestie, banditi (il famoso Peppe Termini), la peste e il colera (che nel 1887 ebbe in Edmondo de Amicis un cronista d’eccezione).


In epoca moderna, con lo stabilimento dei sali potassici della Montecatini, con la miniera di zolfo Cozzo Disi (oggi entrambi chiusi) e con altre piccole attività industriali, Campofranco ha conosciuto un periodo di benessere.

DA VISITARE:

Chiesa Madre di San Giovanni Evangelista

Chiesa San Francesco D’assisi

Chiesa Santa Maria dell’Itria

Museo di storia locale

Riserva naturale di Monte Conca

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